Cagliari, Pisacane: "Coppa Italia ha dato valore al nostro percorso. Voglio calcio propositivo dai miei ragazzi"

Nel corso dell'evento dedicato al decennale di Galleria Progetti, il tecnico del Cagliari Primavera Fabio Pisacane ha affrontato vari temi. Di seguito le sue parole, sintetizzate da TuttoCagliari.net:
Forse ancora non si comprende appieno la dimensione della Coppa Italia Primavera, perché si guarda alle prime squadre e si pensa che sia un altro mondo. Ma vincere un trofeo, anche a livello giovanile, è complicato quanto tra i grandi. Non è così, Fabio?
Sicuramente, senza ombra di dubbio. Non è affatto facile portare a casa un trofeo, soprattutto se lo fai con una squadra partita con l’obiettivo di divertirsi. Ci eravamo promessi con la società di andare sui campi per non essere dominati, ma per dominare il gioco. Costruire un’identità forte che lasci un’impronta. La conquista della Coppa Italia ha dato valore a tutto questo percorso.
Hai parlato di divertimento. Può essere questo il segreto? Quanto conta la capacità di divertirsi pur facendo sacrifici e affrontando difficoltà?
Il divertimento è una componente fondamentale, soprattutto in uno sport nato proprio per divertire. La nostra missione è non perdere mai questa essenza. Anche tra i grandi vale lo stesso principio: un giocatore con doti creative deve essere messo nelle condizioni di divertirsi. Questo è ciò che crea una vera identità.
Crescita individuale e collettiva: due percorsi che si intrecciano. Cresco come individuo per contribuire al gruppo. Il vostro cammino riflette questa dinamica?
Assolutamente. È la somma del lavoro, il riconoscimento personale e collettivo. La Primavera è l’ultimo passo prima dei grandi, e quest’anno undici ragazzi lasceranno il gruppo. È il segno che qualcosa di buono è stato seminato. Come frutti che maturano sull’albero e poi spiccano il volo.
Quanto c’è di Fabio Pisacane calciatore nel tuo modo di allenare?
Tanto. Ai ragazzi ho sempre detto che mi piace un calcio propositivo, che diverte, ma senza sacrificio, dedizione ed etica non si costruisce nulla. Anche quando il risultato non era positivo, vedevo in campo le caratteristiche giuste. E questo è già un passo verso la vittoria.
Ora i ragazzi devono andare avanti per conto loro. Cosa ti senti di trasmettere in quel momento di distacco?
Li ho preparati. Quando chiudi un ciclo formativo come quello della Primavera, devi accompagnarli anche attraverso l’esperienza personale. Spiegare cosa può accadere nel calcio dei grandi e cosa non si può più permettere. Se interiorizzano i valori giusti, questi si rifletteranno anche nel comportamento e poi sul campo.
Ci racconti un esempio concreto?
Sì, con Idrissi l’anno scorso. Gli dissi che in certe situazioni, come dribblare nella propria area al 90°, si rischia di compromettere tutto. In Italia si dà grande importanza al punto. È diverso rispetto alla mentalità spagnola, dove si incoraggia il rischio. Ma anche loro, pur non dicendolo, ci invidiano la nostra tattica, la gestualità, l’intensità.
Hai mai parlato con i ragazzi del pericolo di mollare troppo presto, di accontentarsi?
Certo. La mia storia la conoscono. Ho sempre detto: non abbiate rimorsi o rimpianti. Anche se non fossi arrivato in Serie A a 30 anni, ci avrei provato a 35. Perseverare è la chiave. Nessuno può rimproverarsi nulla se ha dato tutto.
Si vince con il cuore? Ti faccio l’esempio del Lecce, che si è salvato con una forte motivazione emotiva.
Il cuore ti aiuta, ma non basta. Il Lecce si è salvato per determinazione, per valori forti, per rispetto di una memoria e per volontà societaria. Il cuore fa fare un pezzo di strada, ma servono anche organizzazione, competenza e visione.
Qual è stato il momento più difficile del percorso?
All’inizio. Quando sono subentrato la situazione era complicata. Con ragazzi come Pintus, Iliev e Vinciguerra abbiamo seminato nonostante le difficoltà. All’inizio annaffiavamo il seme, ma non cresceva. C’erano distrazioni, anche mie. Ma poi abbiamo corretto, e siamo cresciuti.
Nel calcio spesso si rischia di mettere sé stessi davanti al gruppo. Tu hai mostrato un interesse reale per i ragazzi.
Quando smetti di giocare, devi fare uno switch. Devi ricordarti com’era essere dall’altra parte. Non ho avuto grandi nomi come allenatori, ma persone coerenti. La coerenza, anche nei principi, è ciò che crea connessione. I ragazzi ti studiano: se non sei autentico, lo capiscono subito.
Ho notato una concorrenza sana tra i tuoi attaccanti. Nessuna tensione, solo spirito di gruppo. Come ci sei riuscito?
È stata una delle nostre vittorie. Nei primi giorni di ritiro ho spiegato chiaramente che sapevo cosa si prova a non essere titolari. Un mio ex allenatore diceva: “Compratevi le mollettine”. Bisogna saper sorridere anche se dentro c’è delusione. Parlare a cuore aperto crea connessione. Il giocatore che non gioca non può essere felice, ma deve volere il bene della squadra.
Oggi più che mai serve sapersi adattare. I tuoi ragazzi lo hanno capito?
Sì. Li ho abituati a essere intelligenti e flessibili. Hanno soglie d’attenzione basse, quindi lavoriamo molto con le immagini. Oggi la qualità fa la differenza, non la quantità. Non serve fare 20 partite da titolare: anche entrando dalla panchina puoi lasciare il segno.
Hai trasformato un ragazzo arrabbiato come Mimmo Balde in un ragazzo sereno. Come hai fatto?
Ho toccato le corde dell’anima. Ogni ragazzo ha una storia, spesso di sofferenza. Con Mimmo ho avuto un approccio diverso, come meritava. Ha capito che intorno a lui c’erano persone che volevano il suo bene. Si è aperto, ha mostrato le sue paure, e questo ha dato forza alla nostra miscela vincente.
Leadership?
Viene riconosciuta dal gruppo. Non voglio essere un leader prepotente, ma cooperativo. Le decisioni le prendo io, ma voglio collaborazione. Ci siamo anche divertiti. Abbiamo creato un’identità riconoscibile, un’eredità. Ai ragazzi ho sempre detto: rispetto per tutti, paura di nessuno. Questo è stato il nostro cavallo di battaglia.