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UN MIRTO CON... ROBERT ACQUAFRESCA

di Matteo Bordiga

A Cagliari ha vissuto il fiore dei suoi anni.

Robert Acquafresca componeva con Alessandro Matri e Jeda un tridente, supportato alle spalle da un Cossu in stato di grazia, da mille e una notte. Dopo aver conquistato una salvezza a dir poco mirabolante e pirotecnica nel 2008 l’attacco rossoblù si divertì, nella stagione successiva, a far ammattire le retroguardie avversarie col suo mix micidiale di tecnica, velocità, fiuto del gol e forza fisica.

Un Cagliari così sbrindellato e garibaldino, da allora a oggi, non si è mai più visto. Forse anche per questo Acquafresca conserva sempre un posto speciale nel cuore per l’Isola e per i suoi tifosi, che quindici anni fa – di fatto – lo tennero a battesimo e lo aiutarono a imporsi nel calcio che conta.

Robert, ora il Cagliari rispetto alla formazione timida e impaurita di inizio stagione è tutta un’altra squadra. Attacca con convinzione – e con più uomini in grado di incidere negli ultimi venti metri – e se la gioca alla pari anche con avversari più quotati. In generale, dal 4-3 col Frosinone sembra aver trovato quella scintilla che serviva per scrollarsi di dosso il torpore di un avvio di campionato col freno a mano tirato.

“La vittoria coi ciociari, per il modo in cui è arrivata, è servita a infondere quella fiducia che prima mancava a tutto l’ambiente. Ed è anche la dimostrazione che, alla fine, il lavoro e lo spirito di volontà pagano sempre. Ma pure il successo in coppa contro l’Udinese ha avuto un ruolo fondamentale: se dopo una rimonta come quella col Frosinone fosse arrivata una sconfitta nella gara immediatamente successiva, l’impresa coi gialloblù sarebbe stata parzialmente vanificata e l’ondata di euforia si sarebbe subito esaurita. Invece vincere aiuta a vincere, ed è un toccasana per l’autostima. E infatti poi il Cagliari ha ottenuto i tre punti anche contro il Genoa. Peccato per la gara con la Juve, perché almeno un pareggio si sarebbe potuto portare a casa. La squadra ha pagato soprattutto i quindici-venti minuti iniziali del secondo tempo. Ma va bene comunque: la prestazione c’è stata anche a Torino, quindi si può guardare al futuro con ottimismo.”

Secondo lei cosa è successo, appunto, nei primi venti minuti della ripresa allo Stadium? Ha aumentato i giri la Juventus o il Cagliari ha arretrato troppo il baricentro, lasciandosi schiacciare dalla pressione bianconera?

“Credo che una fiammata all’inizio del secondo tempo da parte della Juve ci potesse stare e fosse, dopotutto, abbastanza prevedibile. C’era da aspettarsela. Vedo più meriti dei bianconeri che demeriti dei rossoblù, sinceramente. Anche perché poi il Cagliari è uscito nuovamente dal guscio e, nel finale, ha sfiorato il 2-2. Ripeto: va bene così. Preferisco un Cagliari che se la gioca a viso aperto piuttosto che una squadra arroccata nella sua area di rigore a difendere lo 0-0. Gli uomini di Ranieri hanno fatto la partita che dovevano fare.”

Come vede il parco attaccanti dei rossoblù, al netto dei rientri delle pedine mancanti a inizio stagione? Ora tutte le frecce del reparto offensivo possono dare il loro contributo e tornare utili alla causa: da Petagna a Lapadula allo stesso Shomurodov, che forse finora è stato l’elemento più in difficoltà.

“Ranieri ha l’imbarazzo della scelta, ma anche l’esperienza necessaria per gestire una situazione di questo tipo. Non è facile avere contemporaneamente così tanti uomini a disposizione: sai che ne accontenti due e ne scontenti tre o quattro, lasciandoli in panchina. Anche se adesso credo che tutti i componenti del gruppo abbiano capito che la priorità assoluta è portare a casa il maggior numero possibile di punti nelle prossime partite.”

Robert, lei caldeggia maggiormente la soluzione del doppio centravanti o della coppia composta da attaccanti complementari (ad esempio la punta centrale di peso accompagnata dalla seconda punta veloce e brevilinea)?

“In generale, quando giocavo - per caratteristiche mie - preferivo avere sempre al mio fianco un compagno di reparto, possibilmente una seconda punta, col quale spartirmi lo spazio. Giocare a tre davanti spesso e volentieri è fuorviante, perché alla fine l’attaccante di riferimento sei tu e gli altri due sono esterni. Quindi rischi di ritrovarti isolato contro i centrali avversari.”

Come vede il Cagliari da qui a maggio? La salvezza, che fino ad alcune settimane fa pareva una chimera, ora sembra un traguardo alla portata. Secondo lei c’è la possibilità di acciuffarla in anticipo o, come ha detto Ranieri, si lotterà strenuamente fino all’ultimo minuto dell’ultima giornata?

“Anche Bonato sostiene che si combatterà fino alla fine, e io sposo la teoria sua e del mister. Credo che sia giusto, in questo momento, prenderla così. Poi se la salvezza dovesse arrivare in anticipo tanto meglio: ci sarà la possibilità di studiare e di pianificare la prossima stagione molto meglio di quanto non si sia potuto fare l’anno scorso, quando la promozione è arrivata all’ultimo respiro dei playoff. Ora conta solo rimboccarsi le maniche e mettersi l’elmetto, pedalando gara dopo gara senza fare calcoli.”

Un po’ come faceste voi nel 2008, ponendo le basi per una stagione successiva che sarebbe stata poi entusiasmante.

“Intanto spero che il Cagliari arrivi alla salvezza tribolando un po’ meno di quanto toccò a noi nel 2008. Poi è vero che l’anno dopo andammo alla grande, ma anche in quel caso all’inizio avevamo fatto di tutto per complicarci la vita, con le cinque sconfitte consecutive nelle prime giornate di campionato. Dopo quello shock ci riprendemmo e cominciammo a divertirci, rischiando di sbarcare in Europa.”


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