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UN MIRTO CON... RICKY ALBERTOSI

di Matteo Bordiga

Il portiere per antonomasia. Che concedeva ai fotografi quel che un estremo difensore degno di definirsi tale deve giocoforza - ogni tanto - concedere: quell’orpello, quello svolazzo estetico che sublima una parata prodigiosa in un volo plastico scolpito da uno scultore greco. Quel ricamo stilistico che rifugge la monotonia del gesto ripetitivo e asciutto ma esalta la bellezza della forma nella sua concezione più pura, snobbando l’utilitaristica convenienza della concretezza e mirando alla grandezza dell’ideale. Alla grandezza dello spettacolo.

Questo era Enrico “Ricky” Albertosi, il guardiano dello Scudetto del Cagliari (e tanto altro ancora), la “piovra di Pontremoli” che stroncava implacabile tutti gli assalti dei nemici alla sua porta, e all’efficacia degli interventi coniugava la sontuosa grazia ed elasticità delle pose.  

I quattro mori non se li è mai tolti dal petto, e ancora oggi quando può segue le traversie del Cagliari in tivù. Viaggiando con la mente ai tempi in cui il suo squadrone, guidato dal fromboliere Gigi Riva e da altri satanassi infernali affamati di gloria, dettava legge sui campi di tutta Italia e faceva tremare i polsi a qualsiasi “corazzata” del Nord.   

Ricky, eravamo rimasti alla gara di playoff vinta contro il Venezia. Ha seguito anche le sfide contro Parma e Bari?

“In realtà ho visto solo il secondo tempo della semifinale di ritorno col Parma al Tardini e la gara di ritorno al San Nicola contro il Bari. A Parma, avendo vinto la partita d’andata, bastava un pareggio, che la squadra ha ottenuto facendo vedere anche un buon gioco e disimpegnandosi egregiamente. A Bari, avendo un solo risultato a disposizione dopo aver giocato non bene il match d’andata all’Unipol Domus, in difesa ha rischiato pochissimo, trovando – con bravura e anche con fortuna – il colpo risolutore nel finale grazie a Pavoletti, che una volta entrato ha subito deciso partita e promozione.

La prestazione al San Nicola mi è sembrata molto convincente. Del resto io l’avevo sempre detto che il Cagliari giocava meglio in trasferta che in casa. Non so quale fosse il motivo: magari fuori casa sentivano meno pressione che in casa e scendevano in campo più tranquilli. Sta di fatto che la squadra lontano dalle mura amiche si esprimeva molto ma molto meglio.

Ad ogni modo, l’obiettivo era riconquistare la serie A ed è stato centrato. È stato un successo importantissimo, anche perché se i rossoblù non fossero saliti quest’anno a mio parere difficilmente sarebbero stati promossi l’anno successivo. Quando retrocedi hai dentro di te tanta rabbia e la voglia di riscattarti subito. Ma se non risali immediatamente, più passa il tempo e più fai fatica a tornare in A.”

Il mercato del Cagliari: ora occorre intervenire massicciamente per ricostruire gran parte della squadra titolare o sono sufficienti alcuni acquisti “strategici” per rinforzare l’organico mantenendo intatta l’intelaiatura di base?

“Il Cagliari sbaglierebbe se cambiasse tutto. L’ossatura della squadra non va intaccata, anche perché il reparto arretrato mi sembra solido e affidabile. Bisognerà prendere un uomo a centrocampo e, secondo me, anche un attaccante: Lapadula non può fare tutto da solo. L’anno scorso è andata bene perché si è preso la squadra sulle spalle e ha segnato una caterva di reti, ma in serie A sarà tutto molto più difficile. Inoltre Pavoletti ha una certa età...”

A suo avviso la punta da affiancare a Lapadula dovrebbe essere un centravanti di peso o un uomo rapido e scattante, abile a muoversi attorno all’attaccante centrale?

“Dovrebbe essere sicuramente uno scattista, agile e veloce. Ricordo che nel mio Cagliari avevamo solo Gigi Riva come punta vera e propria, ma a turno gli gravitavano attorno e si inserivano i vari Gori, Domenghini, Nené ed altri ancora. Ecco, servirebbe un uomo come Bobo Gori: una seconda punta mobile, capace di duettare col centravanti, di aprirgli spazi e di fare gioco dalla trequarti in su. E, possibilmente, dotata di un buon feeling con la porta.”


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