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ESCLUSIVA TC - ROBERTO CORTI: "Arrivai a Cagliari nel 1976 e, piano piano, mi conquistai il posto da titolare. Il nostro segreto era l'unità di intenti. Mi dispiacque quando Amarugi mi vendette all'Udinese. Oggi sogno il Cagliari in Champions"

di Matteo Bordiga

Estremo difensore sicuro, solido e affidabile, oltre che tecnicamente completo, Roberto Corti ha lasciato un segno indelebile nella storia del Cagliari. La sua costanza di rendimento ha contribuito in modo determinante alla scalata in serie A degli uomini di Tiddia nel campionato 1978-’79, oltre che alle due stagioni vissute col vento in poppa nella categoria regina e sfociate in un settimo e in un sesto posto da urlo.

Ancora legatissimo alla Sardegna e alle vicende rossoblù, Corti ricorda con un larghissimo sorriso la sua avventura in terra isolana e auspica la nascita di un Cagliari “più forte e ambizioso, che possa finalmente puntare all’Europa”.

Roberto, da dove iniziamo? Lei sbarcò a Cagliari nel 1976, all’indomani della dolorosa retrocessione in serie B di quel che restava del grande Cagliari di Gigi Riva.

“Esatto. Il tecnico era Toneatto. Venendo dalla serie C per me l’approdo a Cagliari era già di per sé motivo di grande orgoglio e felicità. Dovevo competere con Renato Copparoni, all’epoca il portiere titolare. Mi impegnai al massimo per farmi apprezzare dall’allenatore, e dopo qualche mese di ambientamento Toneatto, praticamente all’inizio del girone di ritorno, mi mise in porta. Fu lì che iniziò la mia avventura a difesa dei pali rossoblù. Quell’anno sfiorammo la promozione in serie A, che avremmo ottenuto meritatamente sul campo senza la famosa “arancia di Cannito” che ci costò la sconfitta a tavolino in Cagliari-Lecce. Io mi disimpegnai piuttosto bene, e i tifosi sardi mi fecero subito sentire il loro affetto e il loro sostegno incondizionato.

L’anno seguente - stagione 1977-’78 - ci eravamo illusi di aver costruito una squadra molto forte, invece disputammo un campionato decisamente deludente. Tanto che Toneatto fu esonerato e gli subentrò Mario Tiddia. Ma era solo questione di tempo: l’annata 1978-’79 portò in dote una straordinaria promozione in serie A al termine di una cavalcata strepitosa. Tiddia indovinò alcune cruciali mosse tattiche, come la retrocessione di Brugnera nel ruolo di libero, che ci aiutarono a sbaragliare la concorrenza. Io poi con Mario a protezione dell’area di rigore mi trovavo non bene, ma benissimo: uno coi piedi così educati era perfetto per ricoprire quel ruolo e per guidare la difesa.  C’era grande sintonia tra di noi. Ricordo ancora l’apoteosi del Sant’Elia stracolmo e della grande festa nell’ultima gara interna contro la Sampdoria: uno spettacolo indimenticabile.

In definitiva, per me i tre anni di serie B furono molto positivi. In quel periodo tra l’altro nacquero le mie figlie, tutte sarde. Insomma, stavamo fin troppo bene: la gente era affabile e di buon cuore. I ragazzi per strada mi chiedevano i guanti, la maglia: percepivi un grande attaccamento alla squadra del Cagliari e a noi calciatori.”

Poi vennero i due anni spettacolari in serie A e la perigliosa e rocambolesca salvezza del 1982, l’anno in cui si concluse la sua parabola in rossoblù.

“In A arrivò Selvaggi. E poi c’era Gigi Piras, il nostro bomber. Eravamo scatenati. Praticavamo un calcio già piuttosto moderno, ma soprattutto Tiddia aveva saputo creare un gruppo unito, in cui tutti remavamo nella stessa direzione. Eravamo votati al sacrificio e avevamo ben chiaro in mente il nostro obiettivo: inseguire sempre la vittoria, contro chiunque. Hai voglia a parlare di moduli: 4-3-3, 3-5-2, 4-4-2… Quelli sono numeri. Il vero ‘numero’ del nostro Cagliari era la coesione e la compattezza del gruppo. Se Longobucco partiva sulla sinistra un compagno andava subito a coprire il suo spazio, parandogli le spalle fino al suo rientro in posizione. Ognuno dava una mano all’altro. C’era grande disponibilità, ed eravamo perfettamente organizzati in modo da non lasciare mai zone del campo vuote o scoperte.”

Roberto, una domanda che già tantissime volte le avranno fatto: il famoso fallo di Bertoni ai suoi danni in Cagliari-Fiorentina del 1982 era effettivamente da sanzionare?

“Quello fu il mio ultimo anno in Sardegna. E fu anche l’anno dell’avvento di Alvaro Amarugi alla presidenza al posto di Mariano Delogu. Il nostro fu un percorso accidentato: vincevamo e poi perdevamo, vincevamo e poi perdevamo. Alla penultima giornata sbancammo Avellino con un secco 4-1 e ci conquistammo la chance di giocarci la salvezza al Sant’Elia con la lanciatissima Fiorentina, in lotta per lo scudetto. Riguardo al fallo su di me da parte di Bertoni, tengo a sottolineare che l’arbitro, al momento del gol di Graziani, aveva già fischiato. La verità è che i toscani si arrabbiarono moltissimo per il rigore segnato dalla Juventus a Catanzaro nel finale con Brady, che consegnò lo scudetto ai bianconeri. Tutto sommato alla Fiorentina lo 0-0, finché teneva ancora il risultato di parità a Catanzaro, stava bene. Poi la Juve segnò e Graziani e compagni si lanciarono all’assalto della nostra porta, ma ormai era tardi.

Certamente noi quella volta entrammo in campo contratti e preoccupati: affrontavamo una grande squadra e, se avessimo perso, saremmo sprofondati in serie B. Ma alla fine il pareggio ci consegnò la salvezza. Ad ogni modo, tornando sul fallo ai miei danni oggi vediamo molto chiaramente che il portiere non può mai essere disturbato - addirittura nemmeno sfiorato - da un avversario. Ed è giusto così. Se lo ostacoli commetti un’irregolarità. Io subii un chiaro blocco che mi impedì di intervenire.”

Poi per lei venne il momento di salutare la Sardegna. Lasciando però il Cagliari in serie A.

“Mi dispiacque molto quando Amarugi mi vendette all’Udinese. Io avrei voluto chiudere la mia carriera in rossoblù. Del resto il presidente in pratica svendette la squadra, facendo fuori quasi tutti. E poi si videro i risultati… Fu un vero disastro.”

Che opinione ha del Cagliari attuale? Ha seguito le ultime stagioni col ritorno in A e la soffertissima salvezza ottenuta sotto la guida di Claudio Ranieri?

“Il gol-promozione di Pavoletti a Bari al 94’ è stato una liberazione totale. Poi in serie A abbiamo tribolato tantissimo, ma alla fine ce l’abbiamo fatta a mantenere la categoria. Ranieri ha fatto un grande lavoro: è stato bravissimo e ha avuto anche un po’ di fortuna. Penso alla partita col Frosinone, che la squadra perdeva per 0-3 e poi ha vinto 4-3. Una rimonta micidiale e impensabile, nella quale comunque il tecnico romano ha messo il suo zampino con dei cambi ultraoffensivi che, nel secondo tempo, hanno sortito gli effetti sperati.

Ora sto seguendo le mosse di mercato di Giulini, che sta tentando di operare con scambi e controscambi. Non mi sembra però che ci sia la possibilità di costruire una squadra in grado di compiere un vero salto di qualità. Tutti gli anni è sempre la stessa storia: si arranca fin dall’inizio del campionato. Sarebbe bello se arrivasse un fondo di investimenti arabo e, magari, si puntasse finalmente a portare il Cagliari in Champions League o in Europa League. Sperando che, nel frattempo, questo benedetto nuovo stadio veda finalmente la luce…”


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