ESCLUSIVA TC - ENZO FRANCESCOLI: "Il mio arrivo al Cagliari, squadra neopromossa nella serie A ultracompetitiva dell'epoca, fu una grande sfida. Seguo ancora con affetto i rossoblù: Ranieri farà grandi cose anche quest'anno"
La grazia di un angelo, le movenze di un ballerino di tango, il fair play di un gentleman. E l’eleganza, appunto, di un Principe.
Enzo Francescoli, il genio giunto dall’Uruguay assieme a Pepe Herrera e a Daniel Fonseca a inaugurare in pompa magna il “ponte” ideale tra Cagliari e Montevideo - che avrebbe prodotto negli anni tanti altri talenti e figli acquisiti della Sardegna - al Sant’Elia ha ricamato calcio, rapito occhi e cuore dei tifosi rossoblù con giocate vietate ai comuni mortali, incantato compagni e avversari e dipinto autentiche opere d’arte per tre anni, dal 1990 al 1993. Poi, dopo aver condotto per mano la squadra in Europa sotto la guida di Carlo Mazzone, come un albatros ha spiegato le ali e ha spiccato il volo verso altri lidi, lasciando alla sua terra d’adozione un ricordo dolce e soave.
La sua terra d’adozione, la Sardegna. Dove il “Principe” è diventato re.
Enzo, cosa ricorda del suo arrivo a Cagliari nel lontano 1990? I Mondiali italiani delle “Notti Magiche” erano appena terminati e lei, dall’Olympique Marsiglia, si trasferì in un club neopromosso nella sfavillante serie A dell’epoca.
“Certo che bisogna andare tanto indietro con la memoria per rispolverare quei tempi! Arrivammo a Cagliari in tre direttamente dall’Uruguay: attorno a noi c’era tanta aspettativa. Soprattutto su di me, visto che provenivo da un grande club europeo come l’Olympique. Non sapevamo esattamente a cosa saremmo andati incontro: approdavamo in una squadra che era appena salita in serie A e ambiva a disputare un buon campionato, ma doveva fare i conti con avversari fortissimi e agguerritissimi. Ci ritrovavamo catapultati in un torneo stellare tutto da scoprire: per noi era una grande sfida.
L’inizio non fu semplice, perché c’era bisogno – sia per noi che per la squadra – di un periodo di adattamento. Dovevamo abituarci al tipo di calcio che si giocava allora in Italia, a una città nuova che stavamo pian piano imparando a conoscere, a tutto il contesto e all’ambiente che ci circondava. Ma, dopo le iniziali difficoltà, col passare del tempo prendemmo confidenza con i compagni e col campionato, e tutti insieme chiudemmo alla grande la stagione, in continuo crescendo.
Nel girone di ritorno, tra l’altro, facemmo più punti della Sampdoria che si laureò Campione d’Italia. Conquistammo una salvezza straordinaria: conservo un ricordo bellissimo di quel primo anno in Sardegna, così come degli altri due. Tutto andò a meraviglia: l’aspetto sportivo e anche quello umano. Porto sempre l’Isola e la sua gente nel cuore. In Sardegna ho vissuto momenti veramente speciali. Mi è rimasta scolpita nella mente l’immagine dei tifosi che nei primi mesi di serie A, quando le cose non andavano bene e nulla girava per il verso giusto, continuavano a sostenerci, ci stavano vicini, non ci facevano mai mancare il loro affetto. È stato lì che abbiamo posto le basi, in quei primi mesi di adattamento, per un girone di ritorno di altissimo livello e per altri due anni vissuti da protagonisti.”
L’anno successivo, campionato 1991-92, a un inizio-shock segnato dalle tante sconfitte consecutive sotto la guida di Giacomini fece seguito una seconda parte di torneo meno tormentata, conclusa con una comoda salvezza. Quello fu anche l’anno dell’avvento di Carletto Mazzone in panchina.
“Mi ricordo bene di Giacomini: purtroppo quell’anno non riuscimmo a mettere in pratica quello che lui ci chiedeva di fare. Con l’arrivo di Mazzone le cose iniziarono a migliorare, e in definitiva il nostro fu un buon campionato. Si vedeva che la squadra stava crescendo, che stava cominciando a intendersi meglio e a giocare un calcio sempre più convincente e disinvolto.”
E veniamo al terzo e ultimo suo anno, quello della conquista di un posto in Coppa Uefa. Dopo due campionati di assestamento la squadra esplose, e coronò un cammino spettacolare con l’inatteso sbarco in Europa.
“Sì, fu un’annata grandiosa. Ormai ci conoscevamo bene tra di noi, in campo ci intendevamo a meraviglia ed eravamo in totale sintonia anche con il mister Mazzone. E poi ricordo i tifosi: ci trascinavano sempre, tutte le domeniche, con un sostegno incredibile. Ci seguivano con tantissimo calore, e anche loro contribuirono attivamente alla nostra cavalcata verso il sesto posto.
Il nostro segreto era il gruppo, guidato da un allenatore che ci dava enorme fiducia in noi stessi. Avevamo campioni come Matteoli, Ielpo ed Herrera che vivevano un grandissimo momento di forma. E poi si percepiva chiaramente che la gente attorno a noi credeva - esattamente come ci credevamo noi - nella possibilità di raggiungere quel traguardo fantastico. Questa combinazione di fattori ci diede la forza per andare oltre le aspettative e regalare alla Sardegna, dopo tanti anni, una qualificazione in Coppa Uefa.”
E poi giunse il suo commiato, nel 1993: un’uscita da primattore, in grande stile, dopo aver compiuto l’impresa. Come si arrivò al suo addio? Fu una decisione sua o della società?
“Venivo da una grande stagione in maglia rossoblù, e il Torino mise gli occhi su di me per sostituire il partente Vincenzo Scifo. I granata si misero d’accordo con il Cagliari e si fece l’affare. A me faceva piacere andare a giocare a Torino assieme ad Aguilera, all’epoca mio compagno nella Nazionale uruguaiana. Ma quello all’ombra della Mole alla fine fu un anno di passaggio, perché si verificarono un po’ di problemi societari e, dopo una sola stagione, tornai in Argentina al River Plate.”
Avrà sicuramente seguito il cammino in Coppa Uefa del Cagliari che, pur privo della sua classe, arrivò inaspettatamente fino alla semifinale con l’Inter. Si è mai pentito di essersene andato alla vigilia di quell’annata magica?
“Mah, sono cose che fanno parte del calcio e della vita. Con la società avevamo preso quella decisione e mi ero trasferito a Torino: a volte capita di cambiare piazza, in una professione come quella del calciatore. Semplicemente le cose vanno in quel modo. Anche se in Sardegna avevo mantenuto tantissimi amici e degli splendidi rapporti con la gente, che mi aveva regalato così tanto affetto fino alla mia partenza. Certamente ho seguito il percorso del Cagliari in Coppa Uefa: è stato spettacolare e meraviglioso. La sconfitta in semifinale con l’Inter è stata un gran peccato, che però non cancella il cammino straordinario fatto fino a quel momento, tra l’altro giocando un calcio bellissimo.”
Enzo, un suo personale augurio al Cagliari del suo ex allenatore Ranieri, che è appena tornato – dopo una dolorosissima retrocessione – in serie A. Cosa si aspetta da questa squadra e dove, secondo lei, può arrivare?
“Auguro con tutto il cuore il meglio al Cagliari per la prossima stagione e per quelle ancora a seguire. Mi informo sempre sui risultati dei rossoblù, li seguo con interesse e trasporto; poi ho mio figlio che vive in Sardegna e ho tutt’oggi tanti amici qui nell’Isola, quindi mi sento molto vicino a Cagliari e al Cagliari. Spero che la squadra possa disputare un’annata da protagonista: conosco benissimo mister Ranieri, un allenatore preparatissimo e una persona squisita. Sono certo che farà grandi cose anche in serie A.”