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ESCLUSIVA TC - CESARE PRANDELLI: "Il Cagliari necessitava di tempo per sdoganare un modulo più offensivo. Ranieri, trovata la quadra, ha optato per il fantasista dietro alle punte. Con Nicola l'obiettivo sarà salvarsi e poi... divertirsi"

di Matteo Bordiga

Ha portato il suo calcio equilibrato – ma sempre coraggioso e intraprendente – in giro per l’Italia, collezionando ottimi risultati praticamente in tutte le piazze in cui ha lavorato: da Verona a Parma, da Venezia a Firenze. Ma l’apice della sua carriera di allenatore l’ha toccato sulla panchina della Nazionale azzurra, che ha condotto a un lusinghiero secondo posto nell’Europeo del 2012 (dietro solo alla strabordante e “ingiocabile” Spagna dell’epoca). Molto meno fortunata, invece, la spedizione mondiale del 2014 in terra brasiliana.

Cesare Prandelli, ritiratosi ufficialmente nel 2023 dal mondo del calcio, conserva intatta la sua passione pallonara. E continua a seguire con attenzione le vicende del football nazionale e internazionale, esprimendo preziosi giudizi di carattere tecnico-tattico e non solo.

Cesare, i verdetti della lotta per evitare la retrocessione hanno rispecchiato il reale valore delle squadre coinvolte o, al contrario, qualcuno è sceso in serie B oltre i propri demeriti?

“Diciamo che la lotta per la salvezza negli ultimi anni ha coinvolto formazioni per così dire ‘insospettabili’ alla vigilia del campionato. Quest’anno mi ha stupito in positivo il Verona, che a un certo punto era dato da tutti per spacciato: la sensazione diffusa era che i veneti volessero solo fare cassa con le numerose cessioni di gennaio, invece hanno sfoderato un girone di ritorno sensazionale che gli ha consentito di centrare meritatamente l’obiettivo. Questo vuol dire che si può ancora fare calcio, anche in provincia, se si hanno delle idee e dei principi validi da trasmettere ai propri giocatori. Tra l’altro la formazione scaligera ha espresso un gioco decisamente propositivo e moderno: del resto spesso sono proprio le esigenze contingenti a spingerti a diventare ancora più offensivo di come sei stato fino a quel momento.”

In cosa è mancato, a suo avviso, il Frosinone di Di Francesco, che nel girone di ritorno ha dilapidato il prezioso patrimonio accumulato nella prima parte della stagione? Le prestazioni dei ciociari, nonostante la retrocessione, sono spesso state tutt’altro che disprezzabili…

“Assolutamente. Il Frosinone ha sempre giocato un ottimo calcio. Il problema è che quando ti esprimi brillantemente in campo ma, per varie ragioni, non riesci a centrare il risultato tutto diventa assai più complicato. I gialloblù sono arrivati all’ultima partita, quella contro l’Udinese, in condizioni difficili anche dal punto di vista psicologico.”

Focus sul Cagliari di Ranieri: i rossoblù, dopo un girone d'andata deficitario, hanno migliorato prestazioni e risultati nel girone di ritorno quando hanno sposato il modulo col trequartista dietro ai due attaccanti, sdoganando un atteggiamento più offensivo e propositivo. Era proprio impossibile adottare questo approccio un po' prima, quando sembrava chiaro che la strategia iper-attendista non pagava e le sconfitte fioccavano (insieme al numero delle reti incassate)?

“Partiamo dal presupposto che non c’è mai la controprova di nulla. Se Ranieri non ha adottato il modulo più offensivo fin dall’inizio è stato perché probabilmente non aveva ancora trovato gli equilibri giusti tra centrocampo e difesa. Del resto se un maestro come Claudio, abile come pochi ad adattarsi alle caratteristiche tecniche degli elementi a sua disposizione, ha agito in questo modo ha fatto sicuramente bene. Non a caso il Cagliari ha disputato un girone di ritorno a mille all’ora: aveva un triangolo offensivo fantastico col trequartista dietro alle due punte, e non dava riferimenti agli avversari. È stato a quel punto che il tecnico romano ha trovato il perfetto equilibrio tra i reparti. Quando riesci in questo intento e, al contempo, valorizzi al massimo le caratteristiche dei tuoi giocatori la squadra rende al top anche sotto l’aspetto della determinazione e della concentrazione. E parlo di una concentrazione non solo propedeutica alla prestazione, ma votata anche al raggiungimento del risultato.

D’altronde ci voleva anche del tempo affinché i calciatori rossoblù metabolizzassero i concetti veicolati dall’allenatore e conoscessero a fondo le prerogative tecnico-tattiche dei propri compagni. Non è un processo che avviene così velocemente. Lo vediamo soprattutto adesso, in occasione degli Europei: le nazionali, a parte un paio di eccezioni, in questo periodo sono tutte farraginose. Fanno fatica a decollare sul piano del gioco collettivo. Insomma, ribadisco che per trovare la giusta alchimia serve tempo. E il Cagliari quel tempo l’ha sfruttato bene, attraverso il lavoro e l’applicazione quotidiana.”

Cesare, un suo parere su Davide Nicola, nuovo tecnico rossoblù che la società dovrebbe annunciare a strettissimo giro.

“Nicola ha ampiamente dimostrato di avere non solo idee calcistiche valide, ma anche un gran carattere e una forte personalità. È molto abile nel creare un gruppo di giocatori uniti e coesi. Sono convinto che il suo intento, alla vigilia di questa sua nuova avventura cagliaritana, sia quello di raggiungere la salvezza il prima possibile per poi, magari, divertirsi assieme a tutti i tifosi sardi e provare a togliersi qualche sfizio. Naturalmente non bisogna mai distogliere l’attenzione dall’obiettivo primario, che è quello di mantenere la categoria: le altre squadre sono attrezzate e, a loro volta, puntano a compiere un piccolo salto di qualità. Lo insegna la lezione del Sassuolo, che lo scorso agosto non avrebbe mai immaginato di trovarsi impelagato nella lotta per evitare la retrocessione.

Certamente il Cagliari ha l’enorme vantaggio di avere dietro di sé tutta un’Isola che spinge forte e che non fa mai sentire soli i giocatori, l’allenatore e la società. Me lo raccontava spesso Gigi Riva con gli occhi lucidi: la Sardegna ti entra dentro, ti fa sentire parte di qualcosa di grande e di viscerale. Per lui era l’anima, il cuore. Era la sua terra.”


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